Terra Nullius – Il rock e l’Australia degli aborigeni

Verso la fine degli anni ’80 l’Australia si trovò a fare i conti con la propria identità, divisa tra l’appartenenza ancora irrisolta con la Gran Bretagna, i richiami economici e politici che spiravano sia dagli Stati Uniti che dall’Asia e dalla consistente presenza aborigena che concorreva alla formazione di un multiculturalismo in cui venivano miscelati come in un’insalatiera diversi ingredienti tutti troppo diversi e troppo riconoscibili affinchè si potesse riconoscere un vero e proprio sapore. Questa forma estrema di multiculturalismo era stata presto adottata nelle città più cosmopolite, quali Sydney e Melbourne, al contrario venne respinta con vigore nelle città più piccole dove le riforme progressiste degli ultimi anni non avevano ancora attecchito. Ma in senso generale era difficile trovare una uniformità di giudizio sul tema. Quando nel 1988 si sono tenute a Sydney le celebrazioni del bicentenario dell’arrivo dei primi galeotti deportati in Australia e attraccati a Botany Bay, seppur nell’entusiasmo fervido che aveva coinvolto la maggior parte della popolazione nei festeggiamenti, una nutrita schiera di sostenitori bianchi accompagnarono gli aborigeni in una sfilata di protesta contro quella che per loro non significava in nessun modo l’apertura ad un nuovo mondo, bensì una giornata di lutto.

Il riconoscimento per i diritti aborigeni avvenne nel 1967, nonostante ciò negli anni la questione sui territori d’appartenenza aborigena che venivano considerate come terre nullius, deserti senza padrone, non fu risolta fin quando agli inizi degli anni ’80 l’attivista aborigeno Eddie Mabo portò avanti una battaglia personale nella quale si voleva dimostrare che le leggi aborigene seppur non scritte costuituiscono un codice ingegnoso ed elaborato, scatenando infinite controversie su come a quel punto si potesse vivere in uno stato che prevedesse due principi legislativi e giudiziari diversi, l’uno fondato sulla testimonianza scritta, l’altro su un codice tramandato a parola. La storica sentenza Mabo nel 1992 mise fine a 10 lunghi anni di dibattiti stabilendo che l’Australia al momento dell’occupazione britannica non era da considerarsi terra nullius, per cui quelle terre sarebbero di appartenenza aborigene, a meno che la comunità originaria non le abbia già abbandonate volontariamente nel corso del tempo, perdendo così la possibilità di restituirne il diritto primigenio.

We carry in our hearts the country

And that cannot be stolen

We follow in the steps of our ancestry

And that cannot be broken

La questione multiculturale non lasciò insensibile il mondo della musica australiana bianca, che si schierò apertamente a favore delle popolazioni aborigene, in maniera a volte molto diretta come nel caso dei Midnight Oil, probabilmente il gruppo australiano di maggior successo internazionale insieme agli AC/DC e agli INXS. Nel 1987 rilasciarono l’album “Diesel and Dust” all’interno del quale ci sono i due grandiosi singoli “Beds Are Burning” e “The Dead Heart”. Di prezioso interesse storico riuscì ad essere il primo dei due nel disperato tentativo di unirsi allo smarrimento delle popolazioni native del Pintupi, delle quali la maggior parte vagavano senza destinazione nel Deserto di Gibson, altre invece sono state trasferite con la forza nell’insediamento Papunya tra gli anni ’50 e ’60. Queste nel 1981 lasciarono l’insediamento per stabilirsi nella comunità Kintore, costituita da circa 400 persone.

Midnight Oil

Al di fuori del circuito mainstream dall’Australia emerse una scena pop-rock di livello eccelso, nella quale in più occasioni si può riconoscere l’influenza spirituale aborigena, che così come scrive Bruce Chatwin nel libro Le Vie Dei Canti, è custode di una genesi avviata da un gruppo indefinito di Spiriti ancestrali, che hanno plasmato la terra durante il Tempo del Sogno, durante il quale gli Spiriti sorsero dalle viscere della terra generando gli animali, le rocce e le piante che popolano tutt’oggi il territorio australiano. Una forma di spiritualità quasi religiosa che non può non richiamare alla mente la formidabile (e purtroppo poco conosciuta) opera dei The Church che plasmarono la loro lunghissima parabola artistica nel corso di quasi vent’anni, partendo da un elegante jangle pop debitore degli influssi post-punk albionici (“The Blurred Crusade”, “Seance”), proseguendo per una psichedelia fermamente fondata sulla sempiterna, sfuggente, irresistibile fragorosità della chitarra elettrica (“Heyday”, “Starfish”), fino ad un punto di non ritorno dagli anni ’90 in poi che vede la musica dei The Church come una terra nullius artistica (“Priest=Aura”, “Magician Among the Spirits”), una sorta di cattedrale all’interno della quale soffiano tutte le magiche ancestralità della loro terra d’origine, il contatto tra new age e rock, raccoglimento e rumorismo, un’illusione che sembra sempre sul punto di svanire nel Tempo del Sogno da un momento all’altro.

The Church

In quegli anni i desolati deserti australi furono oggetto di riverente ammirazione in più di un contesto artistico, fra i quali di sicuro spiccava il cinema con registi come Herzog (“Dove sognano le formiche verdi) e Wim Wenders (“Fino alla fine del mondo”) a trascinare sullo schermo le infinite estensioni spirituali aborigene restituendo finalmente agli occhi del mondo un’immagine fedele di quei luoghi. Desertificato e allo stesso tempo magico quasi quanto la poetica dei The Church fu il primo album dei Died Pretty, “Free Dirt”, considerato dai più la risposta australiana ai Thin White Rope per quel country distorto che stabiliva sì un punto di paragone artistico, ma non necessariamente un’uguaglianza totale, dato che le influenze ambientali tra i deserti del Texas e quelli australi potevano considerarsi sufficienti per creare delle diversificazioni nella loro proposta musicale, più spigolosa ed elettrica l’una, più sognante e liquida l’altra.

Da ricordare nell’ampio panorama musicale di quegli anni la presenza di grandissimi ed irripetibili gruppi pop come i Go-Betweens, gli Hoodoo Gurus, gli Stems, i Moffs, i Lizard Train, i New Christs e chissà quali altre meraviglie sconosciute, perse nel tempo ed ormai confinate nella terra nullius della nostra memoria musicale.