Living colour,il motocross razziale



La prima volta che comparvero quattro negri vestiti con tute da cross in tv fu una bello shock, soprattutto perché non erano in sella a moto ma su un palco e suonavano un meraviglioso miscuglio di metal e funk. “Negri”, una parola un po’ desueta nel 2016, con un afroamericano alla casa bianca, ma ancora in voga nel 1988, anno d’esordio dei nostri. Una parola che stigmatizzava un gruppo sociale, persone dalla pelle scura, ma soprattutto persone mediamente più povere dei loro connazionali bianchi, la condizione d’inferiorità per antonomasia. La società basata sull’abbondanza di prodotti di consumo a disposizione di tutti, non aveva raggiunto appieno la sua missione. Nipoti e bisnipoti degli schiavi africani erano comunque in gran parte una massa di diseredati, cosa poteva lasciare in eredità qualcuno che non aveva il diritto di possedere alcunchè? Tutto nei Living Colour evidenziava queste ipocrisie: il motocross era uno sport da ricchi, le tute erano di colori fluorescenti, colori vivi, come il titolo del loro primo album, Vivid. Soprattutto la musica, il metal era territorio per ragazzi bianchi, no way! I negri, nel 1988 o facevano hip hop, funky o soul. L’anno prima era stato in heavy rotation su MTV il video di Aerosmith e Run DMC, Steven Tyler, cantante dei primi, che sfonda la parete di cartone che divide il suo palco da quello dei rappers che stavano coverizzando Walk this way…

Era lo sfruttamento commerciale delle barriere culturali in apparente disfacimento. Motocross, come la musica che i Living Colour suonavano, crossover, un miscuglio di generi ben distinguibili all’interno di uno stesso brano e non canalizzati nella forma jazz come la fusion aveva fatto quindici anni prima. Commercialmente fu un successo immediato, suonavano freschi e oltrepassavano le rigidezze del metal, come stavano facendo altre band che sommavano il funk al metal e al punk, Red Hot Chili peppers e Faith no more.

I Living Colour si fanno voce di un messaggio profondo e scottante, si fanno scudo con la loro musica contro le pretese di stigmatizzazione che la società americana e il rock in particolare mettono in piedi senza tante riserve, avanzando discriminazioni e barriere razziali di comoda utilità. Stigmatizzazione: la natura pregiudizievole appartiene a questo processo sociale, che sta alla base di stereotipi e volendo anche di pericolose generalizzazioni sociali. La strumentalizzazione delle diversità è in mano al potere e si esprime congiuntamente a efficaci logiche di dominio parziali e nocive, anche nel 2016…

What’s your favourite colour baby?