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This is not an exit Una trasmissione radiofonica ideate da Matteo Ferrari in onda su radio Città del Capo 94,7 e 96,25 MHz, Bologna. “Questa non è una via d’uscita”. Con questa frase Brett Easton Ellis chiude American Psycho, un libro che suggella un era, I favolosi anni ’80 di Wall Street degli Yuppies, degli U2 sulla copertina di Time magazine, un decennio di forti cambiamenti sociali negli states e in Europa dove la musica doveva essere allegra. Beh, probabilmente se eri uno di quelli che stavano facendo soldi, Huey Lewis and the news erano la colonna sonora adatta ma se non ti andava o non potevi permetterti di seguire un MBA, la musica era ben diversa.

Slayer, terror rock messo a valore

untitled-12Gli Slayer riuscirono, in pochi anni, a superare tutte le barriere dell’horror suonato. La loro non e` in effetti musica dell'”orrore”, ma musica del “terrore”; è uno studio patologico del terrore inflitto da uomini ad altri uomini, e le atmosfere plumbee delle loro canzoni non fanno che sottolineare la fondamentale cupezza dell’esistenza umana, condannata a vivere di tale odio. L’horror patologico degli Slayer trae alimento dalla realta`, dalla storia stessa dell’umanita`. La passione per l’horror rock è incomprensibile ai più, eppure bruciante, assoluta, per un idolo dai mille volti, tenebroso nei suoni e nei nuclei tematici, una musica che può arrivare a fissarsi come un chiodo duro e arrugginito al centro della fronte. È proprio la tensione totalizzante che scaturisce da certe sonorità estreme, nella forma e nei contenuti, a trasformarle in tendenze, stili di vita sino a farle considerare come “sospette”.

È solo rock ‘n roll la musica degli Slayer? E’ simultaneamente ricettacolo e spettacolo, grafica e lirica, poesia e profezia . Attingendo dal gotico al thriller, dal metafisico allo splatter, dall’alieno al necrofilo, l’horror rock contemporaneo è in grado di condannare o celebrare un’epoca che ogni giorno di più appare come la discesa entropica terminale.
Dunque, è possibile ancora oggi liquidare tutto un filone musical-culturale come roba tamarra, fuori tempo, criminogena, idonea a ragazzini nerd cerebrolesi, insicuri e sociopatici? L’horror in generale è da sempre vittima di preoccupazioni eccessive da parte di una censura bacchettona e arretrata come accadde nel il caso de “L’Esorcista” di Friedkin. Se poi parli di “horror rock” le cose si fanno ancora più disarmanti: possibile che al giorno d’oggi non si riesca ancora a distinguere la finzione dalla realtà? Gli Slayer sono andati incontro, nella loro lunga carriera, agli stessi fraintendimenti delle gothic tales anglosassoni, del mito faustiano e di quello vampirico, da Edgar Allan Poe a Frankenstein.

Gli Slayer hanno attraversato tutti i “campi minati” possibili, attraverso il crimine violento, gli assassini seriali, la necrofilia e le fisime per l’occulto, il loro rock eredita le gesta di personaggi storici come Erzebeth Bathory, Gilles De Rais e Jeff Dahmer, assurgendo a mostra dei fenomeni più controversi della realtà ed esplodendoli nel magma sonico dell’heavy metal, che del rock oscuro rappresenta il volto più aggressivo e socialmente disapprovato. Del metal, la cultura mainstream continua a confondere le band che trattano l’orrore corporeo e quelle di vocazione satanica, letteralizzando i significati, spogliandoli di una malcelata ironia quasi sempre presente, ignorando le differenze sostanziali tra sottogeneri come il death, il grind core e il black metal, che più di altri hanno istigato le furie censorie.
Va detto che i casi di omicidi (il caso Vikernes/Euronymous in Norvegia), suicidi (Dead dei Mayhem e Jon dei Dissection), scomparse, incendi di edifici religiosi, aggressioni omofobe, provocazioni in odore di nazionalsocialismo proprio degli Slayer, nonché il confuso intruglio ideologico di contemplazione panica, satanismo e atavismi risorgenti che accompagnano di tanto metal estremo, non hanno certo facilitato una corretta interpretazione del fenomeno, non frenando tuttavia la corsa degli Slayer ad un successo di vendite paragonabile a quello di pop star ben più innocue. Il meccanismo è chiaro: si tratta di generi musicali che un po’ per inclinazione ribellistica, un po’ per sensazionalismo, traggono il proprio fuoco dai tabù, dalle fobie, dal nichilismo sociale e da un’estetica dell’instabilità, aspetti dell’esistenza che affascinano perché raramente elaborati.