I Fugazi e l’ideologia



L’ideologia dei Fugazi era molto semplice: controllo totale, su tutto ciò che aveva a che fare con la loro attività artistica. Non avevano un agente, per organizzare i concerti, contattavano direttamente i luoghi dove sapevano avrebbero potuto suonare senza intermediari, come spazi sociali o palestre dei college, altrimenti prendevano a nolo sale normalmente utilizzate da associazioni o vecchi teatri in disuso, pagandone l’affitto. Avevano anche la loro amplificazione, i loro tecnici del suono e i loro  roadie. Tutto ruotava attorno alla Dischord records, la loro etichetta, in grado di documentare, anno dopo anno, tutta la scena musicale di Washington DC, quella punk nell’accezione più ampia del termine, il punk come uno spazio libero dove creare musica, senza per forza di cose annichilirsi. In più, l’autoprodursi era sinonimo di massima autonomia in una società che veniva percepita come fottuta (Fugazi significa “fucked up situations” in gergo americano)

Avere un luogo di comunanza, fin dai tempi dei Minor threath, fu innanzitutto un modo per incontrarsi, Joe Lally prima di diventare bassista dei Fugazi era uno dei roadie dell’etichetta e abitava nella Dischord house, una sorta di casa comune. Brendan Canty e Guy Picciotto la frequentavano fin dai tempi dei Rites of spring, da quando ne utilizzavano gli studi di registrazione. Gli stessi Fugazi, grazie al fatto di potersi autoprodurre non dovettero perdere tempo per mandare demo tape in giro o scendere ad autocensure per adeguarsi al mercato. Funzionò, la distribuzione delle copie saltava tutti i canali monopolizzati dalle major appoggiandosi a quelli indipendenti sparsi per il mondo (la Wide records in Italia, ad esempio…), grazie a questo sistema i Fugazi riuscirono a vendere centinaia di migliaia di copie… a 8 $ l’una… Era la vecchia estetica del “do it yourself” messa a sistema: produrre localmente, ad un livello amatoriale ma questa volta senza farsi assorbire dalle grandi compagnie discografiche come era successo al punk. Se i gruppi hardcore si autoemarginarono per evitare di essere sfruttati dalle major, lo fecero perché a quell’epoca (1980 -83), il sentimento più diffuso era di impossibilità di farcela. L’hardcore originario, chiuso nei propri paletti ideologici implose o divenne una sottocultura, mentre altri gruppi ne portarono avanti gli aspetti estetici dismettendo l’etica ingenuamente puritana e genuinamente egualitaria, i Fugazi invece, ne mantennero lo spirito, evolvendo lo stile radicalmente, disco dopo disco. A quei tempi, la convinzione di non dover scendere a compromessi con le richieste del mercato era dibattuta con una veemenza proporzionale alla violenza insita nell’Hardcore. Era molto facile venire etichettati come “venduti al sistema” ad ogni passo falso artistico, o viceversa, firmare un contratto major era sinonimo di perdita di qualità ed indipendenza. Molto più dignitoso perseguire l’atteggiamento “SST”, l’etichetta dei Black Flag, un estetica del lavoro connotata di cameratismo collettivista e una fiducia in se stessi anarco libertaria, due atteggiamenti americani fino al midollo ma declinati in chiave resistenziale, per evitare di finire bruciati da droghe e alcool inseguendo i miti giovanilistici propinati da Hollywood/MTV, mentre le prospettive concrete di una vita dignitosa venivano falciate dalla deindustrializzazione.

Funzionò. Non drogarsi, non rincorrere falsi miti, non sprecare energie per poterle concentraresolo in ciò che si può fare: suonare, con tutti gli annesi produttivi e commerciali. I concerti erano lo snodo chiave dell’attività artistica, ne annullarono due in tutta la loro carriera, mentre il merchandise era visto da MacKaye e soci come inutile: sono stati tra i pochissimi gruppi a non stampare magliette e a non registrare video ufficiali, attività che sarebbero presto finite fuori dal loro diretto controllo…