I RANCID TRA IL DIY E LA MILITANZA POLITICA

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Una puntata atipica con Damiano Cason ospite e coautore, nonchè performer…


Do It Yourself (Fai da te) è uno dei cardini dell’etica punk da quando essa ha assunto un ruolo ben definito tra le minoranze alternative. Come tutti i principi cardine, del resto, è malleabile e aperto alle interpretazioni. Qual è il modo in cui l’hanno interpretato i Rancid? Oltre a ciò, proviamo a spingerci nell’evoluzione più generale delle idee politiche del gruppo.
Tim Armstrong e Matt Freeman suonano insieme fin da adolescenti e si conoscono fin da bambini. Tra il 1987 e il 1989, quando i Nirvana non erano ancora nessuno, negli Operation Ivy ottengono una rapida popolarità in California. Il gruppo è probabilmente il più noto tra i fondatori dello ska-core americano e l’album Energy diventerà di culto anni dopo. Gli Operation Ivy rinunciano infatti alle offerte delle multinazionali e decidono di sciogliere il gruppo.

Già gli Operation Ivy conoscono le liriche politiche, nel clima classico del “no future” anni ’80, come Freeze Up.
Il primo concerto del gruppo si tenne al 924 Gilman Street, una sorta di centro autogestito della scena hardcore punk di Berkeley. Il club, voluto fortemente dai fondatori della celebre fanzine Maximum Rock’n’roll era dichiaratamente anti-razzista, anti-fascista, anti-sessista e si rifaceva ai principi del DIY. Conteneva anche delle sale prove in cui più tardi cominciarono a provare i futuri Green Day. A questi ultimi, anni dopo, come ad altri gruppi punk, fu negato di tornare a suonare nel luogo di nascita, poiché lo statuto del club prevedeva che le band sotto contratto con le multinazionali potessero suonare solo su decisione insindacabile dei soci.

200 Light Years Away, che apre Kerplunk dei Green Day, prodotto dalla Lookout! che aveva già fatto la fortuna degli Operation Ivy, vede la collaborazione dello stesso Jesse Micheals, ex cantante della band ska nonvhé disegnatore della famosa copertina di Energy.
Dopo lo scioglimento degli Operation Ivy, Tim Armstrong va incontro a diversi fallimenti musicali fino a diventare alcolista ed essere ricoverato d’urgenza in fin di vita. Matt Freeman, che gli era sempre rimasto vicino, provò dunque a convincerlo a fondare l’ennesimo gruppo, i Rancid. Il primo album, datato 1993, sfrutta tutte le doti tecniche del giovane Freeman, la cui velocità nell’eseguire le scale a tempo di street punk è impressionante. Il risultato è uno dei pochissimi dischi dell’intera storia del rock in cui il basso è sostanzialmente l’elemento principale. Come album d’esordio non è una particolarità da poco. Per il resto, musicalmente parlando, già si intravedono alcune possibilità di sviluppo per ritornelli dalla melodia tutto sommato pop che in seguito faranno la fortuna dei Rancid, avvicinando uno stile aggressivo e anarchico a una cerchia più larga di fan.

Le liriche, fino ad ora, si rifanno ad un punk nichilista ed esistenziale, botte per strada, bottiglie di whiskey, celle con prostitute e preti ubriachi (Detroit). Ma una direzione politica si può già intravedere in canzoni come Injury, in cui si dice che “la merda liberale aziendalista è la fottuta classe dominante – prendetevi i fottuti soldi e ficcateveli nel culo” ma soprattutto Union Blood (o Situation, perché nella prima stampa del disco è una traccia fantasma): “Un giovedì di sangue, era il 6 Luglio, i maiali avevano ucciso tre lavoratori – Harry Bridges afferrò il microfono – la città cessò ogni attività il 6 Luglio, era l’indignazione dei lavoratori, era lo sciopero generale – i media sostenevano che i comunisti stavano per prendere il potere e qualcuno cominciò a crederci – tre scioperi senza compromessi prepararono la strada a Minneapolis, San Francisco e Toledo”. Si apre qui un’altra forma tipica dei Rancid, ossia l’auto-citazionismo: questi stessi versi saranno infatti quelli apertura della canzone intitolata proprio Harry Bridges nel disco seguente, Let’s Go.
Harry Bridges fu un sindacalista che condusse, tra gli altri, il grande sciopero dei portuali della Bay Area nel 1934. A Maggio gli scaricatori di porto di tutta la West Coast, in particolare nei porti di San Francisco, Oakland, Portland e Seattle, si astengono dal lavoro. I padroni ingaggiano i crumiri che lavorano sotto protezione della polizia, che uccide due scioperanti durante un assalto. Una mediazione dell’amministrazione Roosveldt è fallimentare. Il 3 Luglio un camion tenta di sfondare un picchetto e si aprono gli scontri. Il 5 Luglio i padroni forzano la riapertura del porto di San Francisco. Dalla Rincon Hill si vedono i gas lacrimogeni sparati tra la folla dei lavoratori e le violente cariche della polizia a cavallo. In seguito al tentativo di un gruppo di scioperanti di rovesciare una macchina della polizia, essa iniziò a sparare, prima in aria poi tra la folla. All’incrocio tra la Stuart e la Mission furono colpiti i tre uomini di cui parla la canzone: Howard Sperry, Charles Olsen e Nick Counderakis. Il 6 Luglio i portuali riconquistano con i cordoni il terreno perduto e posizionano fiori in onore dei caduti per quello che verrà ricordato come il “Bloody Thursday”, mentre Harry Bridges chiama lo sciopero generale.

La prima traccia di Let’s Go, Nihilism, dà comunque già dal titolo l’idea che ancora non ci si discosti molto da un odio di classe non mediato dalla teoria né dalla militanza politica. Con …and out come the wolves del 1995 i riferimenti culturali cominciano invece a farsi più sottili, come in The Wars End dove al giovane punk-rocker Sammy è vietato dalla famiglia di ascoltare i dischi dell’eretico comunista Billy Bragg. Quest’ultimo, infatti, è un cantautore inglese di moderato successo, attivo ancora oggi, divenuto famoso nell’era delle contestazioni dei minatori al governo di ferro di Margaret Thatcher e che si rifaceva alla tradizione del folk antagonista di Woody Guthrie, l’uomo con la scritta sulla chitarra “This machine kills fascists”.

 

Siamo a tutti gli effetti nel periodo “anarco-comunista” dei Rancid, le cui due componenti sono rappresentate dai due leader Armstrong e Frederiksen: il primo con un look da mohicano, il secondo con la maglietta CCCP. D’altro canto i brani più famosi, ma anche le liriche migliori del disco, sono dedicate ad ambiti esistenziali più che politici o sociali, anche se lo stupendo omaggio ad un amico (“He was an artist and a writer and a poet and a friend”) in Daly City Train si conclude con una visione filosofica non di poco conto: “Alcuni uomini sono in prigione mentre passeggiano per strada la notte, altri uomini in una cella d’isolamento sono liberi come uccelli in volo. Che ne dici di una pausa in un sistema che è finito, in una linea unidirezionale le nostre misure sono incompatibili”. Ad essere messo in discussione sembra dunque il sistema di misura, che da un peso specifico e un senso a tutte le cose, che serve a far funzionare gli affari. Questo tempo è rotto, non coincide con i tempi di vita, che non sono misurabili, che sono sempre un divenire. Tim Armstrong avrà studiato Deleuze o sarà solo il sentire ed incarnare alla perfezione la propria epoca?

Il disco successivo, Life Won’t Wait, trova sul booklet i ringraziamenti a Mikhail Bakunin, il più grande teorico anarchico dell’800, e comincia con un manifesto che dichiara come nelle intenzioni del gruppo il disco dovrebbe aprire gli occhi e la mente dell’ascoltatore attraverso le storie narrate. E’ sicuramente il disco più militante, ma anche il più intellettuale (“Sono un saggio professore di strada”, Bloodclot), che abbandona spesso i tratti del vissuto personale della band per dedicarsi ad argomenti di interesse globale. La canzone che dà il titolo al disco è un lungo invito a non aspettare, perché la vita non aspetta, e a ribellarsi contro gli organismi globali che producono guerra e povertà. New Dress lamenta il comportamento dell’occidente di fronte alla guerra in Jugoslavia, Warsaw parla della controversa legge marziale istituita dal governo comunista polacco il 13 dicembre 1981. Hooligans è un omaggio alla lunga militanza ska anti-razzista: anche questa canzone, all’insegna dell’auto-citazionismo, sarà più avanti trasformata in un brand all’interno del merchandising. Nel 2012, anno in cui si festeggia il ventennale della band, al cofanetto celebrativo con tutte le canzoni dei Rancid viene allegata in regalo una mazza da baseball con scritto “hooligans” e il Jolly Roger simbolo distintivo della band. Il resto dell’album, che a differenza degli altri si avvale di moltissime collaborazioni, soprattutto provenienti dalla Jamaica, continua ondivago tra temi di questo tipo e i tipici tratti romantico-esistenziali: prima del finale di Coppers in cui si annuncia che “tutto ciò che vedo è la gioventù in lotta” c’è spazio infatti per Corazon de oro, una canzone malinconica sulla ricerca di un luogo d’origine e di un amore intimo che continuamente sfuggono.

Nella metà degli anni ’90 i riferimenti ai Clash da parte dei Rancid sono sempre più evidenti. Marx diceva che “la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”. Chiamare farsa i Rancid sarebbe sicuramente un pesante insulto, ma il riferimento agli avi del punk impegnato fu chiaro a tutti. A differenza di Tim Armstrong e Matt Freeman, che si conobbero molto meno poeticamente a scuola, Strummer, Simonon e Jones si incrociarono più volte in episodi di violenza a Londra: a volte a concerti punk, a volte nei duri scontri con la polizia che seguivano gli sgomberi delle case occupate dei jamaicani a Brixton. Il tributo alla Jamaica sembra anch’esso per proprietà transitiva dunque un omaggio ai maestri: i Clash furono infatti spediti in Jamaica da Bernie Rhodes per imparare i tempi e lo stile del reggae e dello ska, che importarono in Europa mischiandolo al punk. A New York nei primi anni ’80 Joe Strummer s’infatuò anche con i prodromi dell’hip hop, che compariranno in Sandinista (ad esempio nella famosa The Magnificent Seven) così come tutti questi stili cominciano ad incrociarsi in Life won’t wait vent’anni più tardi. Gli stessi omaggi a vecchi amici vittime di sventure che costituiscono un filone a sé nella produzione dei Rancid non possono che essere paragonati a Stay Free dei Clash, la madre di tutte le dediche, una canzone di profonda amicizia di Mick Jones verso un amico in carcere per rapina.
Portato a termine questo lavoro di contaminazione, nel 2000 i Rancid decidono per un’improvvisa inversione di marcia e tornano all’hardcore più rude: una scelta che rende onore all’eclettismo degli interpreti. L’omonimo album del 2000 può essere considerato l’ultimo dell’evoluzione musicale dei Rancid. Il disco sembra una dichiarazione di guerra ai propri nemici, difende e rivendica il DIY di fronte alle critiche per il troppo successo e svolge con rabbia le canzoni più impegnate, come Let me go o Antennas, una critica al sistema dei media e al ruolo che ha nel creare allarmismi e diffondere paure per scopi economici.

Da Indestructible del 2003 (comunque album di grande valore, probabilmente quello con le liriche migliori) i seguenti possono essere definiti come album autocelebrativi, mentre le produzioni originali si spostano nei numerosi progetti paralleli che allargano quella che i membri della band considerano ormai come una famiglia composta da fratelli, più che un collettivo rivoluzionario composto da compagni di strada, come Bernie Rhodes considerava i Clash. Il più fortunato di questi progetti è sicuramente quello dei Transplants, con Travis Barker dei Blink182 alla batteria, che miscela a una base punk inserti elettronici e cantato hip-hop. Nel frattempo Tim Armstrong scrive il singolo di successo planetario Trouble e gran parte dell’album di Pink.

Lars Frederiksen è in tour mondiale con i Bastards, Matt Freeman suona psychobilly con i Devil’s Brigade. Oltre ai progetti collettivi paralleli, Tim Armstrong pubblica anche un album solista reggae intitolato A poet’s life e avvia un progetto chiamato Tim Timebomb (sempre auto-citandosi, dal nome della canzone più famosa dei Rancid) in cui pubblica una cover al giorno su internet. Infine nel 2009 e nel 2014 i Rancid pubblicano altri due album molto meno degni di nota, e in cui i testi militanti sono ormai minoritari o meno incisivi. Bellissimo quanto malinconico è ad esempio quello di Liberty and freedom: “libertà e indipendenza nelle scritte a bomboletta sui muri, esplosioni verbali, ma un giorno ritorneremo!”.

L’epoca dei progetti paralleli, della creazione di un micro-universo indipendente con al centro i Rancid, è quella che dà il via all’esperienza Hellcat, etichetta di proprietà di Tim Armstrong che produce tutti questi progetti ed ha il merito di far tornare sulle scene Joe Strummer accompagnato dai Mescaleros. L’allievo che produce il maestro. Indestructible è in memoria di e riferito a Joe Strummer, venuto a mancare improvvisamente pochi mesi prima dell’uscita del disco, che contiene alcune tracce impegnate come il bellissimo testo di Ivory Coast.

In definitiva, se consideriamo la storia dei Rancid tra il primo disco del 1993 e il sesto del 2003, possiamo collegarli a un periodo storico-culturale ben preciso, ossia quello che alcuni avevano avventatamente definito “la fine della storia”. I Rancid facevano parte di quell’universo che sosteneva che la storia non era affatto finita, che c’erano un bel po’ di conti ancora in sospeso… E’ il decennio che si apre con il crollo dell’URSS, che prosegue con il movimento no-global e che si chiude da un lato con l’attacco alle Twin Towers e dall’altro con la morte di Carlo Giuliani. Ciò che viene dopo non è un mondo post-apocalittico ma, sicuramente, tutta un’altra storia: tutta ancora da giocare.