MTV 120 Minutes: l’ascesa su scala mondiale dei videoclip indie

1986. MTV è al suo quinto anno di vita, il suo palinsesto è esclusivamente basato sui videoclip musicali (precisazione d’obbligo tenendo conto di quello che offre oggi la stessa emittente), da qualche anno, complice anche lo smisurato successo mondiale di Michael Jackson, le barriere razziali che limitavano la messa in onda dei videoclip degli artisti di colore sono state abbattute. MTV in America sembra così essere il vero riferimento per ogni appassionato di musica…almeno di quella che entra in top chart. Certo, lo spazio dedicato al rock non manca, tra un video dei Duran Duran e uno degli Spandau Ballet un posto per un inno da arena dei Bon Jovi o per i virtuosismi chitarristici dei Van Halen lo si trova di sicuro, ma anche per primizie più particolari, come un paio di videoclip degli Split Enz o degli Ultravox o, come poterlo dimenticare, il famoso video di “Whip It” dei Devo, uno dei primi ad essere passati in heavy rotation dall’emittente americana. Ma non c’è ancora uno spazio dedicato ad una scena musicale che prevede ormai un numero di gruppi e generi diversi incalcolabili: l’indie, la musica di tutti quei gruppi che non suonano per alcuna major, ovvero quelle etichette discografiche che hanno il controllo assoluto sulla distribuzione globale della musica. Quindi anche il controllo su MTV, che pertanto non prevede spazio alcuno per quei gruppi che a conti fatti non le porterebbero quasi nulla in tasca. Ma il fenomeno indie ha ormai raggiunto proporzioni troppo vaste per poter essere ancora ignorato, e quando le classifiche di vendita degli album cominciano a segnalare la presenza nelle zone più alte di gruppi come gli Smiths o gli R.E.M., il dato è inconfutabile: l’indie vende, pertanto bisogna sdoganarlo.

A questo punto ci si può aspettare la classica mossa alla MTV, ovvero la promozione di quei 4-5 gruppi alternative che sarebbero tra i più seguiti dai giovani e ricavarci una trasmissione di 30 minuti con le solite interviste e live report da ripetere ossessivamente in un blocco settimanale con una decina di repliche. Ma, complice un clima più libertino e ancora sperimentale, data l’ancora effettiva giovane età del canale tematico, MTV si lancia in una delle scelte più coraggiose, a conti fatti forse l’unica, della sua controversa esistenza.

Il 10 marzo 1986 parte 120 Minutes, un contenitore di due ore con il meglio (e il peggio) della musica indie internazionale, i cui protagonisti sono tutti quei gruppi che vivono per la prima volta momenti di larghissima visibilità, costretti sino al giorno prima a vagare per club e locali fatiscenti pur di portare a poche centinaia di persone la loro musica. 120 Minutes manda in onda di tutto, senza nessuna precisa scelta aziendale, se non quella di proporre quello che era ancora considerato tabù, l’underground. Qui di seguito una delle prime scalette proposte dalla trasmissione:

Lou Reed – No Money Down
The Blow Monkeys – Digging Your Scene
The Art of Noise – Peter Gunn Theme
The Epidemics – Never Take No For An Answer
Bodeans – Fade Away
Hoodoo Gurus – Bittersweet
Latin Quarter – Modern Times
The Untouchables – What’s Gone Wrong
Cactus World News – Years Later
King – Alone Without You
Platinum Blonde – Somebody Somewhere
Vanity – Under The Influence
Chacko – Once Bitten, Twice Shy
The Go Betweens – Bachelor Kisses
Roaring Boys – House of Stone
Oingo Boingo – Stay
John Farnham – Break The Ice
Sharks – Only Time Will Tell
Wild Blue – Fire With Fire
Laurie Anderson – Language Is A Virus
Rob Jungklas – Boystown
Jean Beauvoir – Feel The Heat
Peter Frampton – All Eyes On You

Non ci vorrà molto tempo prima che 120 Minutes costruisca i suoi personalissimi tormentoni, i Camper Van Beethoven saranno tra i primi gruppi a poter favorire commercialmente dei benefici dati dall’insolita frequente rotazione dei loro videoclip, così come i Love and Rockets faranno fatica a sparire dagli schermi con la loro fantastica “No New Tale To Tell”. Altri grandi cavalli di battaglia di quel periodo saranno i They Might Be Giants, i The Mission, i Soul Asylum, e gli SugarcubesNon solo musica. 120 Minutes propone momenti di videoarte irripetibili, sfruttando il binomio artistico che si viene a creare dalle collaborazioni tra i gruppi e i registi che ne girano i video, desiderose ambedue le parti di creare dei linguaggi nuovi, moderni, lontani da quelli usati nei videoclip kitch dell’epoca. Così ecco spuntare video come quello di “Dear God” degli XTC, dalle liriche e immagini apertamente anticlericali, senza la minima correzione della censura. Sarà emblematico un video come quello girato per “TV Man” dei Bolshoi, in cui i componenti del gruppo si passano a turno un televisore ove i protagonisti dello schermo sono proprio loro. 

A 120 Minutes si deve la fama di certe canzoni che altrimenti non sarebbero mai diventate delle hit. Un pezzo come “Under the Milky Way” dei The Church probabilmente non avrebbe conosciuto 13 anni dopo addirittura la ribalta del grande schermo grazie alla presenza nella colonna sonora di “Donnie Darko”. Così come si sarebbe dovuto aspettare ancora qualche anno prima di conoscere i Red Hot Chili Peppers, senza poter mai immaginare che in realtà fossero dei cocainomani irrecuperabili, così come traspare dall’esilarante video di “Fight Like A Brave”. Sono proprio i gruppi funk rock losangelini, come, oltre ai già citati RHCP, i Fishbone, i Faith No More e i Jane’s Addiction, a guadagnarsi una eccellente fama verso la fine degli ’80 grazie al contenitore di MTV. I video vivaci, divertenti, con i gruppi che suonano spesso e volentieri in una stanza con dei fondali variopinti e che vedono assoluto protagonista il frontman dimenarsi nelle maniere più assurde, diventeranno un marchio di fabbrica della scena crossover americana.

La musica rock non è la sola protagonista del programma, c’è anche tanto spazio per la musica elettronica, ovviamente quella più sperimentale, basti pensare che un pezzo come “Pump Up the Volume” dei MARRS ha avuto qui il suo trampolino di lancio prima di farsi conoscere al mondo e di diffondere in ogni angolo di globo l’allora nascente house music. E a proposito di musica elettronica, la visibilità sempre più crescente dell’industrial favorirà un grosso passo in avanti nell’ideazione di videoclip avanguardistici, che supereranno definitivamente i canoni prestabiliti, portando in essi un concetto fino ad allora sconosciuto: l’enigma. Sfilano in orari diversi, davanti agli occhi dei giovani americani, video inquietanti e claustrofobici come quello di “Dig It” degli Skinny Puppy, lavori sperimentali che avranno messo a dura prova la sopportazione di soggetti predisposti all’epilessia fotosensibile, come “Stigmata” dei Ministry, o piccoli capolavori dal retrogusto Lynchano come quello girato dal talentuoso Anton Corbijn per “Headhunter” dei Front 242, video nel quale il regista olandese mette a punto il suo personalissimo stile che diverrà riconoscibile ai più grazie ad alcuni celebri video girati per i Nirvana e i Depeche Mode negli anni ’90.

Tornando al discorso delle hit, è doveroso sottolineare come 120 Minutes ragionasse in maniera esattamente inversa rispetto alla politica intrapresa dal canale. Se una canzone scala le classifiche, 120 Minutes la sopprime dalla scaletta. Basti pensare a casi come “Lullaby” dei Cure, “Smells Like Teen Spirits” dei Nirvana e “What’s Up” dei 4 Non Blondes, inizialmente trasmesse, poi lasciate esclusivamente alle sorti dell’heavy rotation del canale, se non per alcuni speciali dedicati. MTV approda nei ’90 con la consapevolezza che l’alternative non è più solo la musica suonata negli scantinati, bensì una realtà musicale che sta acquistando un successo sempre maggiore.

Dall’Inghilterra arriva un nuovo scossone che per tutto il periodo ’90-’91 catalizzerà una buona parte della trasmissione. Inizia l’era madchester, la droga torna ad essere prepotentemente collegata al concetto di musica rock la quale a sua volta subisce una profonda trasformazione nella propria attitudine, approdando per la prima volta nelle piste da (s)ballo. E’ clamoroso il video del pezzo che presenta madchester al mondo, “Fine Time” dei New Order, che vede protagonista un bimbo in preda ad allucinazioni notturne nella sera di Natale, dovute ad una mega pastiglia che ruota attorno a lui e al suo cane seduto ai piedi del letto, in seguito a ciò lo stesso bimbo si sveglierà per andare ad aprire i pacchi sotto l’albero che gli riserveranno non poche sorprese. Quando poi arriverà il video di “I Wanna Be Adored” degli Stone Roses, la strada per tutte le meteore madchesteriane è spianata. Si faranno conoscere al grande pubblico gli esordienti Blur e Charlatans, esplodono con un paio di azzeccatissimi videoclip gli Happy Mondays, ma oltre a loro entrano nella rotazione del programma altri celebri sconosciuti come i Soup Dragons, i Milltown Brothers e gli Inspiral Carpets. Questi ultimi in particolare saranno protagonisti di una serie di videoclip semplicemente da manuale, per il modo in cui imporranno anche alle generazioni future dei registi del settore, codici sempre più virtuosi, alzando di gran lunga l’asticella nell’utilizzo degli effetti visivi e nella qualità della fotografia.

Nel 1991 il grunge irrompe con tutta la sua forza nel panorama della musica mondiale. MTV non rimarrà insensibile a tale esplosione. I Nirvana diventeranno il gruppo più trasmesso e seguito dal canale, viene creata un’altra trasmissione dedicata alla musica rock, Alternative Nation, con gruppi come i RHCP, i Rage Against The Machine e gli Smashing Pumpkins a farla da padroni. Non deve sorprendere più di tanto per cui il quasi disinteresse che 120 Minutes riserva alla scena di Seattle. Riportiamo qui di seguito una scaletta del luglio 1992, a fenomeno grunge già ampiamente avviato:

 Public Image Ltd. – Disappointed
Teenage Fanclub – The Concept
Big Audio Dynamite II – The Globe
Nine Inch Nails – Head Like A Hole
Ned’s Atomic Dustbin – Kill Your Television
Lush – For Love
Lou Reed – What’s Good
Slowdive – Catch Te Breeze
They Might Be Giants – Don’t Let’s Start
The Disposable Heroes of Hiphoprisy – Television The Drug of A Nation
Public Image Ltd. – Public Image Ltd.
Concrete Blonde – Ghost Of A Texas Ladies’ Man
Afghan Whigs – Turn On The Water
Saint Etienne – Only Love Can Break Your Heart
Robyn Hitchcock And The Egyptians – So You Think You’re In Love
Reverend Horton Heat – Psychobilly Freakout
Red Hot Chili Peppers – Under The Bridge
Blur – There’s No Other Way
Revenge – Deadbeat
Ministry featuring Gibby Haynes – Jesus Built My Hotrod
My Bloody Valentine – Only Shallow
Public Image Ltd. – Don’t Ask Me

Come si può ben notare, l’unica cosa che potrebbe avere a che fare almeno con l’ombra del grunge sono gli Afghan Whigs (ma nemmeno più di tanto, considerata la loro provenienza geografica e le loro influenze musicali), più in là si ritaglieranno qualche posticino gli Screaming Trees e con forte ritardo gli Alice in Chains, considerati una band hard ‘n’ heavy, pertanto più idonei ad essere trasmessi in Headbangers Ball, altra storica trasmissione di quella MTV, dedicata al metal. C’è da dire che una delle band grunge più acclamate dell’epoca, i Pearl Jam, si rifiuteranno per diverso tempo di realizzare videoclip, limitando così ulteriormente la possibilità di vedere tracce di Seattle in 120 Minutes. Viene così data preferenza, come consuetudine, alla musica “altra”, pur essendo imparentata con quella che sta dominando il mainstream, ma che non conosce la stessa fortuna commerciale. Ride, Catherine Wheel, Slowdive, Kitchens of Distinction rappresenteranno a lungo la Gran Bretagna nelle due ore settimanali oltre ai già citati colleghi madchesteriani, così come per gli USA la parola verrà data a gruppi come gli Helmet e i loro due inni (“Unsung” e “In The Meantime”, il cui video propone una feroce accusa al sistema di industrializzazione imperante), ai nuovi Faith No More con Mike Patton alla voce (anche in questo caso abbiamo video indimenticabili quanto surreali come quelli di “Midlife Crisis” e “A Small Victory”), e ai Beastie Boys, con un video come “So What Cha Want” che rimarrà uno dei più trasmessi nella storia di 120 Minutes. Parlando della videografia dei Beastie Boys, è impossibile non citare il videoclip di “Sabotage”, una sorta di adrenalinico cortometraggio poliziesco con un montaggio dai ritmi vertiginosi, nel quale tutti i personaggi (che sono parecchi) sono interpretati proprio dai 3 componenti del gruppo. Molti dei video trasmessi da 120 Minutes e Headbangers Ball faranno la fortuna di un’altra serie prodotta da MTV, ma questa volta trattasi di una serie d’animazione: come poter dimenticare le assurde discussioni intavolate da Beavis & Butt-Head sul divano del loro salotto davanti ad un video dei Mercyful Fate o ad uno dei Type O Negative? I temi non esattamente convenzionali trattati in quei videoclip unite ad una realizzazione non sempre impeccabile saranno la colonna sonora ideale per gli esilaranti commenti no sense dei due ragazzacci texani partoriti dalla mente di Mike Judge.

L’animazione entra prepotentemente nel novero delle scelte stilistiche cui i registi di videoclip faranno uso, adottando in particolar modo una tecnica che aveva fatto scuola nel decennio precedente in Cecoslovacchia grazie a registi come Jiří Trnka e Jan Švankmajer: lo stop-motion. Le possibilità offerte da un’animazione così bizzarra da essere in alcuni casi destabilizzante per lo spettatore, arricchiranno l’ormai vasto bagaglio tecnico dell’arte del videoclip. Il chitarrista dei Tool, Adam Jones, nonché esecutore di diversi make-up in alcune produzioni hollywoodiane, dirigerà i video per il suo gruppo sfruttando tutta la sua abilità in questo campo attraverso uno stop-motion oniricamente tetro, chiaramente ispirato ai lavori cinematografici dei fratelli Quay, creando video dopo video un mondo fatto di personaggi che definire poco rassicuranti è sicuramente un eufemismo, come quello che verrà trasmesso a ripetizione da MTV in quegli anni, “Sober”. Si spingerà anche oltre il quasi esordiente Michel Gondry nella realizzazione del videoclip di “Human Behaviour”, singolo estratto dal primo album solista di una vecchia conoscenza degli spettatori di 120 Minutes, l’ex cantante degli Sugarcubes, Bjork. La cantante islandese infatti in questo video sarà l’unico essere in carne ed ossa assieme ad un malcapitato cacciatore, in uno strano bosco realizzato in cartapesta, inseguita da un gigantesco orso di peluche che alla fine riuscirà a mangiarla. La realizzazione prevede un mix di diverse tecniche dianimazione in stop-motion, dalla Puppet Animation, alla Claymation fino alla Cutout Animation, un mix di stili differenti che renderanno Gondry uno dei registi più influenti e fantasiosi nella storia del videoclip.

E’ il 1993 quando “Creep” dei Radiohead presenta alle radio e alle tv di tutto il mondo il nuovo fenomeno inglese del britpop. Come prevedibile 120 Minutes non dedica attenzione per più di un paio di passaggi al singolone di Thom Yorke & Co., ma di sicuro non rimane insensibile di fronte alla nuova invasione britannica. Molto prima che gli Oasis portassero il movimento agli onori della cronaca, il contenitore indie di MTV anticipa la proposta con gli Suede, gli Auteurs e i Boo Radleys, con i primi della lista ovviamente a trainare il carro grazie a dei singoli di enorme successo accompagnati da dei video di grande impatto visivo. E’ proprio da questi videoclip che comincia a farsi largo anche una scuola di pensiero britannica in risposta a quella americana, impregnata da una filosofia e una ricerca indirizzate deliberatamente verso il surrealismo, sconfinando talvolta nel no sense, come è possibile apprezzare nel visionario “Lazarus” dei Boo Radleys, o, successivamente nel capolavoro “Just” dei Radiohead.

120 Minutes scompare dalla programmazione di MTV nel 2003, anno in cui l’emittente americana inizia passo dopo passo la distruzione di ogni tassello del suo palinsesto che abbia a che fare con la musica. Il programma ha rappresentato per 17 anni un’anomalia nel sistema dei mass media americani (e non solo), sponsorizzando quello che nessuno ha avuto voglia di sponsorizzare prima e che nessuno ha avuto voglia di sponsorizzare dopo: forme artistiche libere, prorompenti, inarrestabili, slegate dall’interesse delle major, un porto franco di innovazioni videoludiche e musicali che non troverà eredi, se non un appoggio nello sconfinato ma dispersivo mondo della rete.