Consejos Narcos



Il commercio di droga non passa e non passava solo dalla famigerata Colombia, era solo una suggestione. Il più grande mercato del mondo, gli Stati Uniti, spartiscono 3000 km di frontiera col Messico che è un paese di transito per le droghe sintetiche, come metanfetamine e allucinogeni, e per la cocaina colombiana, peruviana e boliviana. Ma è anche un territorio di produzione di marijuana e papavero da oppio, da cui si ricavano la morfina e l’eroina. Questi “vantaggi competitivi”, la connivenza delle autorità a vari livelli e la storica debolezza istituzionale del Messico hanno da sempre costituito un terreno fertile per la proliferazione delle imprese criminali, foraggiate già negli anni trenta e quaranta del novecento dal dominio militare statunitense e dalla relativa tolleranza sia dei governi messicani, statali-regionali e nazionali, sia degli USA, bisognosi di sostanze proibite in patria.

Tra il 1990 e il 1993 il tasso di omicidi in Colombia era tra le 75 e le 79 unità per 100mila abitanti, con totali che si aggiravano intorno ai 25-28mila morti all’anno. Nel Messico dello stesso periodo si contavano circa 16 omicidi ogni 100mila abitanti e il loro numero totale è sceso costantemente dagli anni novanta in poi, con un punto minimo di 8507 morti nel 2007, che significano una media di 8 omicidi per 100mila abitanti.
La media messicana era quindi più comparabile con la media dei paesi europei, che con quella di altri stati latinoamericani come Venezuela, Guatemala o Brasile i quali, come le periferie delle grandi città statunitensi o europee (per esempio Parigi, Napoli, Detroit) viaggiano anch’esse dai 20 ai 40 omicidi per 100mila abitanti. Inoltre in Messico non esistevano minacce sistemiche importanti come lo erano le guerriglie storiche colombiane (FARC, ELN, M-19) negli anni 80 e 90 o i potenti gruppi paramilitari delle AUC (Autodefensas Unidas de Colombia). Dopo il 2007, però, ultimo anno “decente” in Messico, l’escalation di violenza è stata incontenibile, la NarcoGuerra, fino ad allora sommersa, ha cominciato a mostrare i suoi effetti nefasti, per cui da lì in poi il problema esplode e in 3-4 anni si triplica il tasso di omicidi che passa da 8 a 24 ogni 100mila ab. Ciò che sorprende non è più solamente il numero assoluto di morti, che arriva a 80mila alla fine del governo di Calderón, senza contare 27mila desaparecidos e 250mila rifugiati o persone costrette ad abbandonare la propria terra per il conflitto, ma proprio la crescita esponenziale del fenomeno e la mediatizzazione della violenza, alleata della retorica bellicista dell’ex presidente.

Un fulgido esempio dei narcos messicani è El Chapo. Era latitante dal 2001, quando scappò, o meglio fu lasciato uscire impunemente, dal penitenziario di massima sicurezza di Puente Grande, nello stato del Jalisco, in cui faceva la bella vita e controllava tutto e tutti con laute mazzette in dollari americani, un po’ come l’Ucciardone palermitano. Classe 1957 (ma alcune fonti indicano il 1954 come anno di nascita) e originario di Badiraguato, la “Corleone messicana” dello stato di Sinaloa, Joaquín Guzmán comincia a coltivare e trafficare marijuana sin da giovane, quindi negli anni settanta e ottanta si unisce al gruppo fondato dai boss Ernesto Fonseca Carillo “don Neto”, Rafael Caro Quintero e Miguel Ángel Félix Gallardo, el jefe de jefes, cioè il capo del cartello di Guadalajara o Federación. Nel 1989 Gallardo viene arrestato e il suo impero spartito tra alcuni fedelissimi come i fratelli Arellano Félix, che prendono Tijuana, il “Señor de los cielos” Amado Carrillo, che si tiene Ciudad Juárez, e il Chapo che resta nel Sinaloa.Negli anni novanta, El Chapo sconta una condanna per l’omicidio del cardinale Juan Jesún Posadas Ocampo, commesso a Guadalajara nel 1993, ma la sua “carriera” non può finire in una cella. La versione ufficiale, secondo la quale il boss sarebbe evaso con una mossa astuta, semplicemente nascondendosi in un carrello della lavanderia e facendosi portare fuori, apparve inverosimile fin da principio, ma ebbe il merito di dare inizio alla sua leggenda. Versioni giornalistiche più attente e realiste, come quelle fornite da Anabel Hernandez, autrice de “Los señores del narco”, parlano invece di una totale connivenza delle autorità carcerarie, che erano praticamente sul libro paga di Guzmán, e di possibili implicazioni anche del governo conservatore di Vicente Fox e del suo partito, il PAN (Partido Accion Nacional).

Dopo la fuga Guzmán riorganizza gli affari dell’organizzazione criminale, che negli anni settanta e ottanta era nota come La Federación o Cartello di Guadalajara, e la trasforma in una multinazionale della droga, il cartello di Sinaloa o del Pacifico. Introvabile e inarrestabile, El Chapo diventa un fantasma che controlla traffici in tutto il Messico occidentale e centrale, negli Stati Uniti e poi in Europa, grazie ai porti e agli scali sudamericani e africani. Dopo la morte di Bin Laden diventa il ricercato numero uno degli USA, ma il mito del Chapo cresce ancor più quando entra nella lista della rivista Forbes dei 500 uomini più ricchi e influenti della Terra, avendo superato un patrimonio stimato di un miliardo di dollari, condicio sine qua non per figurare nella famosa lista.

Ma queste realtà, “indegne” di un paese “emergente” che sta ripulendo la sua immagine e si presenta come nuovo “global player”, sembrano essere sparite dai mass media, soprattutto fuori dal Messico, grazie a un’offensiva mediatica e diplomatica che vede in prima linea il governo messicano e le sue ambasciate e consolati nel mondo. Insomma non si parla più della narcoguerra, ma solo delle riforme strutturali che, secondo la narrativa ufficiale, in un anno avrebbero modernizzato il paese e attireranno investimenti e prosperità. Intanto le teste mozzate continuano a rotolare per le strade, lasciando dietro di sé strisce di sangue pulite alla meglio da un esercito di spazzini e scribacchini.I testi di questo post sono parte del progetto “NarcoGuerra. Cronache dal Messico dei cartelli della droga” di Fabrizio Lorusso. Per approfondire:

Messico violento

Chapo Guzman