La decadenza di Detroit

I “riots” di Los Angeles del 1992 portano alla luce un altro problema scottante, quello della decadenza urbana. Los Angeles, spartita fra i ricchissimi di Beverly Hills e i poverissimi di East L.A., è la citta’ delle contraddizioni per eccellenza. Ma il vero segno della decadenza urbana è Detroit, una città in cui la popolazione si è praticamente dimezzata dal 1960 ad oggi, e la cui composizione razziale è, all’esplosione della Techno music, diametralmente opposta: nel 1960 il 70% era bianco, trent’anni dopo l’80%’ è nero.

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Un po’ di storia. Nel 1820 la città, sorta sule rive del fiume Detroit nella regione dei Grandi Laghi, contava 1.422 abitanti; nel 1900 ne contava 285.704, nel 1920 ben 993.678, mentre nel 1950 raggiunse la cifra di 1.849.568. Una crescita esponenziale, legata soprattutto all’industria dell’auto, da quando Henry Ford, nel 1904, iniziò a realizzare lì la prima vettura”di massa”: la Model T. Mentre, sempre nella stessa città, anche i fratelli Dodge (General motors) e Walter Chrysler iniziavano a  produrre automobili. Crescita demografica dovuta dunque all’enorme massa di diseredati, bianchi e neri e di differenti nazionalità, che si riversò  nella città a caccia di un posto di lavoro.

Ancora nel 1972, Detroit costituiva  il quartier generale dell’industria dell’auto, quella che all’epoca dava lavoro ad un americano su sei. E proprio in quell’anno Lawrence M. Carino, Presidente della Camera di Commercio di Detroit, poteva dichiarare: ”Detroit è la città dei problemi. Se ne esistono, noi probabilmente li avremo. Sicuramente non ne avremo l’esclusiva. Ma certamente li avremo prima di altri… La città è ormai diventato il laboratorio vivente  per il più completo studio possibile sulla condizione urbana in America

Nel momento in cui rilasciava questa dichiarazione, Carino doveva ancora avere ben in  mente i cinque giorni del luglio 1967 in cui la città era stata protagonista della più grande rivolta urbana della storia degli Stati Uniti dopo quella di New York del 1863 contro la leva obbligatoria istituita nel corso della Guerra Civile. In quel caso fu l’artiglieria ad essere usata contro i rivoltosi nelle strade di New York City, mentre a Detroit si fece ricorso ai carri armati e all’aviazione in dotazione alla Guardia nazionale.

Riots

Tutto era iniziato a causa di un intervento della polizia per chiudere un locale privo della licenza di vendita per le bevande alcoliche che si trovava nei locali della United Community League for Civil Action, sull’angolo della Dodicesima Strada  con Clairmount Street nel Near West Side. Gli agenti pensavano di trovare poca gente poiché erano le 3:45 del mattino di una domenica. Invece nei locali si trovavano 82 afro-americani intenti a festeggiare alcuni loro amici appena tornati dal servizio in Vietnam. Come la polizia tentò di arrestarli tutti, nelle strade si radunò una folla enorme che costrinse gli agenti ad una precipitosa ritirata sotto una pioggia di bottiglie e sassi. Era il 23 luglio.

Quell’esperienza politica per i diritti civili nasceva in un contesto in cui, anche la grande industria aveva intrapreso un’azione di rinnovamento della città. Tale progetto si andava strutturando intorno al New Detroit Committee (Comitato per la Nuova Detroit) che raccoglieva i maggiori rappresentanti dell’industria automobilistica, della grande distribuzione mercantile, delle principali banche ed assicurazioni. Oltre che tutti gli uomini politici e gli amministratori locali legati a doppio filo agli interessi economici dei primi.

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Tale comitato si riprometteva di affrontare il problema del degrado urbano, ed in particolare dei quartieri della inner city (che erano stati i maggiori protagonisti della rivolta), attraverso un processo di ristrutturazione edilizia che prevedeva la costruzione di nuovi edifici dall’architettura ardita destinati ad ospitare banche, hotel, centri commerciali, lussuosi condomini, centri congressi e, naturalmente, i nuovi uffici amministrativi e di rappresentanza delle imprese coinvolte.

Sulle rovine della rivolta, degli incendi e degli autentici bombardamenti del luglio 1967, si intendeva quindi avviare un programma di speculazione edilizia e finanziaria travestito da nuova possibilità di migliorie economiche e di  sviluppo che avrebbero dovuto, sulla carta, coinvolgere anche gli insoddisfatti e i proletari protagonisti dei riot precedenti. Naturalmente il primo atto di tale “rinnovamento” sarebbe stato costituito dall’allontanamento forzato dei residenti neri, poveri bianchi e studenti dall’area centrale che si trovava  tra il fiume (lungo il quale si sarebbe sviluppata la nuova area commerciale) e la Wayne State University. Il progetto riuscì, soprattutto per le etnie bianche, che si spostarono in massa nei sobborghi, favorite da una maggiore disponibilità economica. Già all’inizio degli anni ‘90 vaste zone di Detroit sembrano appena uscite da un bombardamento: case bruciate, edifici che cadono a pezzi, marciapiedi coperti dall’erba, carcasse di automobili, magazzini squartati, bar con le vetrine infrante, e cosi’ via. Metà Detroit e’ senza inquilini.  L’esodo era solo all’inizio, nessun bianco voleva vivere in una città nera e impoverita. Detroit era diventata la città più “nera” fuori dell’Africa.
Era anche la più violenta: con 700 omicidi all’anno (65 per centomila abitanti) era seconda soltanto alla capitale; ma se si considera la media degli anni ‘80, Detroit e’ due volte più omicida di  Washington. Si possono incontrare  commercianti che girano per la città con la pistola e il cinturone, come nei film western, molte case sono dei piccoli arsenali.

Care

Per quanto riguarda la sola criminalità giovanile, il dato di Detroit e’ triplo di quello delle dieci città più grandi degli USA messe insieme. Droghe, disoccupazione e maternità precoci crescono generazioni sempre più alienate. Nel 1991 più di trecento minorenni sono stati colpiti da un’arma da fuoco e poco meno di cento sono morti. Quasi sempre si tratta di sparatorie fra neri. Il sindaco, Coleman Young, uno dei primi sindaci neri di una grande metropoli, eletto nel 1973 e poi rieletto quattro volte, domina questa tragedia come un piccolo dittatore sudamericano, con tanto di culto della personalità (molto edifici sono dedicati a lui), progetti grandiosi, demagogia anti-colonialista e maniere mafiose. Detroit e’ sempre più un pezzo di Terzo Mondo nel cuore degli USA.

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Detroit ha visto dimezzare la sua popolazione urbana e ha recentemente dichiarato bancarotta. Questo è il risultato della deindustrializzazione voluta dalle corporation automobilistiche. Svuotandosi, si sono persi molti rapporti di prossimità, quelli che costituiscono le comunità urbane, inoltre i servizi al cittadino, per meri motivi fiscali, sono crollati. Gli edifici dismessi sono giganteschi e inseriti nel tessuto urbano. Detroit è la classica città piatta, 700.000 persone in un area lunga 35 km inframmezzata da enormi boulevard. Nella motor city le pompe di benzina diventano dei luoghi di socialità, forse gli unici rimasti. Gli spazi sono legati alla musica, Motown – rock – techno, hanno legato la popolazione a questa cultura industriale, Afrofuturismo. Una rivolta musicale, non nel campo dei diritti civili. Anche i tessuti urbani riflettono questo aspetto, i capannoni industriali abbandonati come riuso concreto. A Detroit, ad un certo punto, negli ’80, c’erano più strade che abitanti.

L’infrastruttura è l’unico spazio pubblico in un’area grande come la val d’Aosta, gestita con un urbanesimo scientifico. Paradossalmente non è possibile raggiungere il lago perchè tutte le coste sono proprietà privata, scelte scientifiche che hanno portato ad enormi problemi. L’americano medio non è ancorato ad un luogo, il 60% si sposta in auto da solo quotidianamente. I cambiamenti d’abitazione sono mediamente cinque in trent’anni, con la tendenza ad allontanarsi dal centro urbano. Anche questo contribuisce alla mancanza di piazze o parchi pubblici.

Streets

Oggi, nel 2013, nonostante il buco da 20 miliardi dollari che ha portato la città alla bancarotta , qualcuno parla ancora di Rinascimento di Detroit e di rilancio della sua industria dell’auto. Soprattutto la più che asservita informazione italiana  che tesse ancora le lodi di Sergio Marchionne e delle scelte FIAT. Così viene sottolineato come il dimezzamento degli stipendi degli operai della Chrysler abbia permesso a questa industria di rilanciare la produzione di veicoli di lusso come la Jeep Grand Cherokee. Lo stabilimento della Chrysler è rimasto l’unico in città, le altre industrie si sono trasferite fuori o altrove, e occupa 4663 dipendenti dei 20mila che ancora trovano impiego negli stabilimenti automobilistici cittadini, a fronte dei duecentomila che un tempo erano occupati negli stessi.

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Per approfondire:

Andrew Moore, Detroit disassembled.

9 resources for DETROIT, Dipartimento di Architettura di Ferrara,University of Detroit Mercy

Dan Georgakas e Marvin Surkin Detroit, I Do Mind Dying. A Study in Urban Revolution