La psicosi programmatica dei Manic street preachers

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27,ancora 27 anni, l’ultimo suicidio di una lunga serie e non sarebbe stato neanche l’ultimo… Eppure i Manic street preachers erano stati metodici in tutto, fin dall’inizio, almeno a rileggere vecchie interviste, quando erano già un fenomeno mediatico, avevano un contratto di produzione con la Sony ma non avevano ancora inciso un LP. Avevano passato l’adolescenza come tanti altri provinciali su e giù per i treni ad inseguire concerti,  passando notti all’addiaccio dopo aver perso l’ultimo treno per il ritorno, vi ricorda qualcosa? Poi avevano deciso di passare all’azione, sistematicamente: l’harcore, noo, troppo respingente, un pop lamentoso stile Smiths? Macchè! Che senso ha starsene su di un palco ad autocompiangersi di quanto sia brutta la vita? Sballo e disimpegno alla Happy Mondays? Neppure, erano pur sempre quattro ragazzi del buon vecchio Galles, non faceva per loro, soprattutto non piaceva a Richey Edwards che già all’università non sopportava i suoi coetanei dediti a tutto fuorchè allo studio. Dei quattro Richey era quello che meno di tutti sapeva suonare ma era quello con più idee, anzi all’inizio era praticamente il loro roadie. Poi ne divenne il paroliere e secondo chitarrista, non che sapesse accarezzare la sei corde ma affascinato dai Ministers, i guardiani politici sfoggiati dai Public Enemy aveva inventato un contraddittorio programma per i Manic. Se il rock dei Guns and Roses aveva venduto 16 milioni di copie nel 1988, allora quello era lo stile giusto, L’obiettivo era quello di superare tali vendite e poi sciogliersi. Che senso aveva diventare così famosi per poi perpetuarsi? Tanto valeva autodistruggersi. Stava scherzando col fuoco, già altri erano rimasti vittime di uno stile di vita annichilente, non si può essere performativi quasi ogni giorno per lungo tempo, o comunque non è da tutti.

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Non vendetttero come i Guns, quindi continuarono, un album dopo l’altro, ma facevano sul serio. Se gli altri tre “Manics” avevano un approccio più professionale e al contempo distaccato, come degli onesti lavoratori della musica, Richey invece, “faceva sul serio”. Però qualcosa non quadrava, molti commentatori sentivano puzza di artificiosità, tant’è che si arrivò alla domanda di un giornalista di una testata inglese, Richey, per dimostrare che facevano sul serio, che i loro slogan sinistrorsi non erano finti, s’incise con una lametta di rasoio la scritta “FOR REAL” sul braccio davanti allo stupefatto inviato nel backstage di un concerto nel 1991. Ovviamente, in un’industria ormai totalmente spettacolarizzata il gesto fece il giro del mondo, venne usato dalla Sony per lanciare il nuovo disco ma ormai il nostro si era autoinferto le stimmate della dannazione e per questo era percepito e osannato…