Jon Spencer liberaci dalla noia



Quando la Jon Spencer Blues Explosion apparve all’orizzonte, fu amore a prima vista. Compressi tra la matematica e metronomica techno e l’angoscia decadente dei gruppi di Seattle, gli adolescenti non allineati di inizio ’90 non vedevamo l’ora di avere qualcuno che li accompagnasse allo sbando totale ma con un certo stile, Jon Spencer era il loro profeta. Il sabato sera da coatti edonisti, con colonna sonora a base di languida house/italo/disco, era inaccettabile per dei giovani snob di provincia. Non potendo distinguersi consumando più dei loro coetanei, ebbene, si sarebbero distinti in base alla qualità dei consumi. Se migliaia di persone si radunavano osannanti negli stadi ad ascoltare Vasco Rossi, riconoscendosi nelle sue canzoni suburbane, i rocker alternativi si esaltavano nella consapevolezza che la Jon Spencer Blues Explosion suonava Rock and roll ma con un approccio accademico, il perfetto viatico per mollare le pose da rigidi pseudo-intellettuali e lasciarsi andare alla danza più animalesca, senza troppi sensi di colpa.

Jon Spencer usciva dritto dritto dalle scuole d’arte newyorkesi e trovatosi squattrinato e senza troppe prospettive, decise di far da se, destrutturando prima il rock con i Pussy Galore, poi il rhythm and blues e il funky/soul con la Blues Explosion. Procedeva al disassemblaggio ragionato dei generi, forte della consapevolezza che la loro età dell’oro era alle spalle.Cosa poteva inventare nel 1991 un terzetto chitarre e batteria? Ormai tutto, o quasi, il lessico rock-blues era stato sviscerato nei 35 anni precedenti, Mr. Spencer te lo diceva chiaro e tondo durante i live, ripetendo come un mantra, ossessivamente, decine di volte, “Blues Explosion”, oppure “for the first time in blues history”… Tant’è che al quarto album recuperò un anziano campione del rhythm and blues originario R.L. Burnside, ci collaborò su disco e se lo portò in tour, a quel punto il trucco era svelato, il “first timer”, quasi ottantenne era sulo palco…