De la soul, il polo positivo del RAP

Ovverosia, l’Hip hop! Perlomeno questa era la percezione alla fine degli anni ’80 della situazione: il RAP erano i duri, senza troppe distinzioni, dai Public Enemy ai Niggaz With Attitude, i buoni invece facevano hip hop: Soul to Soul, A tribe called quest e soprattutto i fantastici De la Soul, la faccia buona e ballabile dell’Hip hop!3feethigh

Un po’ di contesto: l’ottimismo e quanto la prosperità tardi anni ottanta lo avesse esaltato, era ulteriormente convalidato da un’ondata di miglioramento geopolitico. Il crollo sbilenco dei governi comunisti in Europa aveva provocato un senso di incredulità gioiosa: “finalmente non più guerra fredda, non più Armageddon nucleare appeso sopra le nostre teste”. Jesus Jones aveva azzeccato il mood del periodo con l’inno ‘Right Here Right Now‘, che infatti divenne una hit immediata.

Per quanto gli aspetti apertamente New Age o da figli dei fiori fuori tempo massimo facessero rabbrividire (vedere i Beloved di ‘Hello‘ o i The Farm con ‘All Together Now‘), un sacco di musica composta sotto il segno della positività e dello sballo era davvero piacevole, ad esempio i Deee-lite. Meglio ancora era la miscela di gioia e di follia che  sviluppò la musica rave: 180 battiti al minuto, un’atmosfera accelerata, dura e più pesante. La cultura speedfreak di hardcore punk fuso a rabbia e euforia hippie, rimaneva il massimo della musica dance psichedelica del periodo ma questa è un’altra storia.

I De La Soul erano un’altra cosa, giovanissimi, furono da subito etichettati come hippy dai loro coetanei neri imbevuti di retorica rap da strada, loro risposero per le rime con “Me myself and I”, fu l’inizio del loro stile asciutto e ironico. Il RAP aveva raccontato per quasi un decennio storie di emarginazione e di successi personali strettamente collegate fra loro, gente che ce la faceva ad uscire dal ghetto ma rimaneva con la stessa mentalità ghetto-centrica con la quale era cresciuta. Oppure aveva abbracciato una visione militante come i Public Enemy: lottare per una black nation, in contrasto con le istituzioni americane con tutte le contraddizioni che un’impostazione militaresca/gerarchica comportava. I De la soul dicevano semplicemente: voglio essere me stesso, con il mio stile, e non voglio essere categorizzato, non voglio emergere con la sopraffazione ma mantenere uno spirito comunitario, l’esatto opposto di quello che sarebbe diventato il prototipo del gangsta rapper, una specie di super eroe oscuro e solitario schierato contro tutti con un unico obiettivo, la “grana”. L’altra faccia della medaglia gangsta survavalista erano le derive New age imperanti nella cultura pop del periodo: sii te stesso, il problema è in te, ricerca l’armonia, ecc… Dopo anni di repressione, un forte desiderio di benessere, unità ed equilibrio psichico era fortissimo e il cambio di contesto storico sembrava autorizzarlo assieme ad un’idealistica volontà di cambiamento ma il problema era, cambiare cosa? Soprattutto con quali parole d’ordine, una volta tramontati i grandi ideali dei decenni precedenti? Fede, comunicazione, integrazione, iniziativa, positività, diventarono il fine del discorso dai mezzi che erano…la fede nella fede. Niente a che vedere con il concetto di comunità, la crescita personale funzionale a risolvere conflitti interiori, con l’idea che il benessere individuale farà star meglio anche chi ti circonda, nemici inclusi. Anzi niente più nemici e conflitti, in questo modo anche l’esistenza dei limiti tendeva a scomparire e con essi la tragicità del tentare di affrontarli. Il 1990 durò poco, qualcuno era ancora ben ancorato all’epica del potere, ricordate Saddam? Beh, il complesso militare-industriale che gli si rovesciò contro probabilmente non ascoltava musica per rilassarsi… Improvvisamente la positività si disvelò come l’ennesimo aspetto di una cultura della consolazione più che della resistenza.

Il secondo lavoro dei De La Soul si chiamò ”De la soul is dead”, 1991…