Uno sguardo laterale su Kurt Cobain

di Damiano Cason (damcason[at]libero.it)


Bisogna ritagliarsi dei piccoli spazi per uscire dalle narrazioni principali che prendono il sopravvento nei media e diventano a loro modo storiche. Non si tratta del vero e del falso, ovviamente: tutto vero, Kurt Cobain ebbe un problema con l’eroina, era una rock-star anomala ma pur sempre una rock-star, si suicidò. Di lì a renderlo vittima sacrificale del rock’n’roll o artista depresso e drogato, il passo è breve. Ma basterebbe aver letto qualche biografia ufficiale per capire che ci sarebbe di molto di più e molto più interessante rispetto a cose rimasticate per anni per una vasta gamma di star riprodotte in serie. Ci sono altre cose per cui vale la pena parlare ancora di Kurt Cobain? Secondo me sì e si tratta, come in molti altri casi, di quelle linee di racconto che sono rimaste spezzate o si sono perse negli anni. Una è quella dello spiccato anti-sessismo del leader dei Nirvana. Adolescenza e bullismo Dalle biografie estraiamo un tratto particolare che ci permette di seguire la nostra linea: quella del bullismo di cui era vittima l’adolescente Cobain a scuola. Una cosa normale per chi frequenta scuole di periferia e ha un carattere non proprio uniformato alla norma. A leggere le biografie non si tratta, per la verità, di nulla in particolare (per quanto queste assumano sempre ex post un carattere di predestinazione quando si tratta di personaggi di un certo calibro) se non che – e questo ci interessa – tra le vessazioni che era costretto a subire si ritrovava spesso apostrofato come “gay”, ovviamente in senso dispregiativo. Curiosamente, la presa in giro era dovuta alla sua frequentazione con un ragazzo molto più introverso e preso di mira rispetto a lui. La reazione di Kurt però è diversa da quella che avrebbero avuto la maggior parte degli adolescenti: invece di cambiare le sue frequentazioni, rivendica la posizione che gli è stata affibbiata, travestendosi da donna per provocazione o scrivendo “God is gay” e “homosex rules” sui muri della città, atto per il quale verrà anche fermato dalla polizia. Cobain L’evoluzione della personalità di Kurt in senso queer ebbe dunque un inizio inverso, cioè proveniente dalla necessità di proteggersi da un attacco esterno, piuttosto che da quella di esprimere al meglio la propria sensibilità. La parola “gay” da quel momento diventerà quasi un’ossessione nella carriera da rock-star di Cobain, che la inserirà spesso sarcasticamente nei versi di alcune canzoni: “god is gay” in Stay Away o “what else should I say? Everyone is gay” in All Apologies. Quest’ultima canzone è quasi sicuramente auto-ironica, riferita al fatto che potrebbe mettere insieme un qualsiasi ammasso di parole per continuare il proprio successo, di modo che ognuna di esse perderebbe il proprio senso: anche affermare che “Dio è Gay” o che “tutti sono gay” diverrebbe dunque un prodotto dell’industria culturale. Ma andiamo con ordine. Lo stesso Kurt, nei propri diari (pubblicati anni dopo la sua morte) scrisse appunto che non si era mai considerato come “gay”, o comunque gli risultava difficile acquisire un’identità sessuale precisa (diremmo appunto che poteva rientrare nel campo queer), ma di certo amava proclamarsi tale per combattere l’omofobia e il pregiudizio diffuso dalla religione cattolica. Alcune canzoni del primo album Bleach sono una critica della piccola realtà di provincia nella quale è cresciuto, a partire dallo sguardo sessista della propria famiglia.

(Mr. Moustache e Negative Creep).

Contro il “machismo”: l’odio per i Guns n’Roses La sensibilità di Cobain verso il tema dell’omofobia e del sessismo cresce sempre di più e travalica il lato artistico e personale per sfociare in antagonismo politico. Non tarda a definire in diverse occasioni i Guns n’Roses un gruppo fascista, razzista e omofobo: a dargli una certa ragione sono gli stessi testi di Axl Rose, anche se va soppesato il ruolo aggressivo che le rock star rappresentano nel mondo giovanile. Certo i Nirvana provenivano da un altro background culturale e Kurt non mancò di manifestare in alcune interviste e negli stessi diari il suo essere colto, anche se è difficile capire lo sviluppo attraverso cui riceve un retroterra culturale ateo, femminista e di sinistra (va ricordata la dedica a Frances Farmer).

In questo senso va ricordata certamente la frequentazione di Kurt, per un certo periodo, con Kathleen Hanna, fondatrice del gruppo punk femminista Bikini Kill (e del movimento riot grrrl che le ha seguite): a lei si deve ad esempio, per via di una scritta nella stanza di Cobain, il titolo di Smells like teen spirit. ExcuseMeAi Guns n’Roses del resto è facile imputare l’utilizzo di un’estetica machista e l’allusione a cliché che sono facilmente annoverabili tra le manifestazioni del potere nella sua forma conservativa. Axl Rose, al contrario, era un grande fan dei Nirvana (forse attratto da quel ribellismo che però era in qualche modo ancora incontaminato) tanto da chiedere al gruppo di fare da spalla ai Guns per la nuova tournée ma Cobain – che solo pochi mesi prima si era detto onorato di aprire i concerti per i Sonic Youth – rispose ovviamente picche, non avrebbe mai diviso il palco con un fascista: l’adesivo “Vandalism: beautiful as rock in a cop’s face” che aveva sulla chitarra è infatti un riferimento (rivisitato dall’animo punk-anarchico di Kurt) allo storico cantautore comunista americano Woody Guthrie che sulla sua chitarra posizionò il noto “This machine kills fascists”. Come vedete, un background culturale opposto. Woody Axl, al quale Cobain comincia a dare sui nervi, dichiara allora ai giornali che Kurt e Courtney Love sono una coppia di drogati al quale dovrebbe essere tolta la tutela della figlia: detto fatto. Così – e arriviamo all’apice dell’odio – agli Mtv Music Awards (quelli in cui i Nirvana attaccano le prime note di Rape Me che per questioni di censura non avrebbero potuto suonare) Courtney rivolge una battuta provocatoria ad Axl nei camerini, invitandolo a fare da padrino della loro bambina. La risposta di Axl Rose non fa altro che confermare le idee di Cobain: “Dì alla tua puttana di tacere o ti ammazzo”. Il diverbio continua finché Duff McKagan cerca di circondare Krist Novoselic con le sue guardie del corpo per farlo picchiare, ma se ne va dopo che il bassista dei Nirvana (un gigante di due metri) lo invita a risolvere le cose faccia a faccia. Violenza, contro-violenza e… Rape Me

Non è dunque un femminismo (se possiamo usare questa parola) non-violento quello di Kurt Cobain, perché il suo sarcasmo e l’aggressività dell’immagine dei Nirvana sono comunque volutamente provocatori: possiamo infatti collocarli nell’alveo della contro-violenza, se usiamo questo termine come lo usava Sartre quando la opponeva alla violenza sistemica: potremmo dire che proprio di quest’ultima i Nirvana accusavano i Guns n’Roses. Kurt Cobain e i Nirvana vengono comunque dal mondo del punk, dell’underground, della ribellione. Sarebbe troppo facile definire i Nirvana dei “rivoluzionari” limitandosi a citare Smells Like Teen Spirit (“load up on guns, bring your friends”): è pieno il mondo della musica di pop-star che evocano Satana o la rivolta sul palco e difendono le forze dell’ordine o la famiglia davanti alle telecamere, magari facendo da costoso sponsor a qualche programma di governo (in qualche modo palesando in maniera diretta il timore per l’industria culturale che Horckheimer e Adorno preconizzavano nella Dialettica dell’illuminismo). Nei diari di Cobain si rintracciano però facilmente frasi di matrice rivoluzionaria classica (“i detriti di rivoluzione bruceranno sul pavimento di Wall Street”), non certo idee riformiste. Vandalism Tuttavia si avverte anche la sensibilità di un uomo che fa sue certe cause perché le ha avvertite nel corso della propria esistenza come immediatamente personali. Nelle note di copertina di Incesticide si invitano sessisti, razzisti e omofobi a non comprare i dischi dei Nirvana. Krist Novoselic, di origine croata, si impegnò per le vittime di abusi sessuali in Bosnia-Erzegovina dopo lo scoppio della guerra e organizzò un concerto dei Nirvana i cui ricavi vennero interamente destinati a quelle donne. Kurt Cobain diede sempre il suo appoggio artistico a questo tipo di iniziative. Rape Me fu l’apice di questo processo di liberazione violenta contro l’oppressore sessuale: inizialmente mal interpretata, la canzone è direttamente e senza mezzi termini una condanna dello stupro e in qualche modo un’apologia della vendetta. Ma il sarcasmo che rende il testo estremamente provocatorio valse le furiose proteste della parte più agguerrita del conservatorismo americano.

C’è poi una canzone con cui bisognerebbe ricordare Kurt Cobain più di tutte le altre: Sappy, che non finì su nessun album a causa del maniacale perfezionismo del front-man. Fu registrata durante le sessioni di In Utero con il titolo Verse Chorus Verse e doveva dare addirittura dare il titolo al disco, salvo poi uscire dalla tracklist. Il testo allude, se così lo vogliamo interpretare, ai tentativi canonici di una donna di soddisfare le esigenze del marito, salvo poi ritrovarsi umiliata nella gabbia di un matrimonio patriarcale: “he’ll keep you in a jar and you’ll think you’re happy now you’re in a laundry room”. Dunque: solo una delle tante rock-star spezzate dalla droga o c’è anche un modo diverso di raccontare la storia di Kurt Cobain e dei Nirvana?

                        Never met a wise man, if so it’s a woman – Territorial Pissings